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Investito e ucciso sulle strisce pedonali, parlano gli avvocati della donna alla guida dell'auto

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Da una parte una moglie che chiede di inasprire le pene, dall'altra una donna che ha vissuto comunque il dolore, che si porterà dentro per sempre, di aver ucciso un uomo.
La vicenda è quella di Daniel Rus, 51enne di origini romene, investito in via Fratelli Lumiere ad Arezzo il 2 aprile 2024. L'uomo fu portato all’ospedale delle scotte di Siena dove lottò tra la vita e la morte per nove mesi. Poi la morte sopraggiunse la morte il 16 dicembre 2024.
Adesso a chiedere di fare “chiarezza” sul caso è proprio la donna, che lo investì.
Lo fa attraverso i suoi avvocati difensori, Sara Bono e Fabio Appiano. L'intenzione è quella di “fornire alcuni chiarimenti, sia sulla dinamica dell'incidente, sia sul successivo iter processuale”.
“La nostra assistita la sera del 2 aprile 2024, verso le 20,00, stava percorrendo Via Fratelli Lumiere in direzione Via Morse, alla guida della propria auto– si legge nella lettera - ha investito un uomo in corrispondenza dell’attraversamento pedonale; non appena resasi conto dell’accaduto, provvedeva immediatamente a chiamare i soccorsi, che accorrevano sul posto dopo pochi minuti dal fatto".
Gli avvocati poi ricostruiscono con precisione l'iter giudiziario.
“A carico della signora veniva inizialmente instaurato dalla Procura della Repubblica di Arezzo un procedimento penale per lesioni gravissime, ai sensi dell’articolo 590bis comma 1 del codice penale, processo che veniva definito l’8 maggio 2025 con una sentenza di condanna alla pena di sei mesi di reclusione su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento); il giudice del Tribunale di Arezzo, Dott. Filippo Ruggiero, aveva pertanto ritenuto congrua la pena finale individuata dai sottoscritti difensori in accordo con il Pubblico Ministero, Angela Masiello, concedendo la sospensione condizionale. Al processo si era costituita parte civile la moglie della vittima”.
Poi la morte di Daniel. “Nel frattempo, a seguito del decesso della persona investita, la Procura di Arezzo aveva iscritto un altro procedimento a carico della nostra assistita – prosegue la lettera - stavolta per omicidio stradale, ai sensi dell’art. 589bis del codice penale. Anche in questo caso, la difesa della signora Budini riteneva opportuno, in accordo con la propria assistita, presentare richiesta di applicazione pena, individuando con il Pubblico Ministero la sanzione finale di un anno di reclusione. L’accordo delle parti, ai sensi dell’articolo 444 codice di procedura penale, veniva pertanto sottoposto al vaglio del Giudice per l’Udienza Preliminare, Claudio Lara, il quale all’udienza del 14 ottobre scorso pronunciava sentenza di condanna, ritenendo corretto l’inquadramento giuridico fornito dai difensori e dal Pubblico Ministero e definendo ampie «le motivazioni che giustificano il riconoscimento, in favore dell’imputata, delle attenuanti generiche, quali lo stato di incensurata, l’immediata ammissione di responsabilità e il corretto comportamento processuale». Non solo, il GUP riteneva di applicare all’imputata la sanzione della sospensione della patente di guida per soli sei mesi – come si legge testualmente nella sentenza - «tenuto conto del fatto che ella, subito dopo l’incidente stradale, si è prodigata per prestare soccorso e non è rimasta indifferente per quanto accaduto, ragion per cui la sanzione inibitoria può essere contenuta in prossimità del minimo».
Al processo svoltosi dinanzi al GUP non si costituiva parte civile la moglie della vittima, la quale, a quanto riferito dal legale della stessa, era già stata integralmente risarcita in sede civile del danno subito”. Fin qui i fatti, ma Elena ci tiene a rendere pubblico anche l'aspetto emotivo della vicenda.
“Nel pieno rispetto del dolore provato dalla famiglia della vittima, riteniamo doveroso sottolineare come anche la signora abbia vissuto in modo drammatico l’evento – scrivono gli avvocati - sin dal giorno dell’accaduto, ha chiesto incessantemente notizie sulla situazione clinica della persona investita, pregandoci di darle aggiornamenti sulle condizioni di salute dell’uomo e di fare da tramite con il legale della famiglia, fino al tragico epilogo del dicembre scorso.Inutile ribadire come anche per la signora Budini sia stato un periodo difficilissimo, durante il quale, oltre al senso di profonda e inconsolabile tristezza per quanto successo, ha dovuto subire aggressioni verbali e minacce di ogni genere, persino scritte infamanti sull’asfalto davanti a casa, senza contare gli attacchi gratuiti e insensati dispensati sui social, riguardo ai quali ci si limita a stendere un velo pietoso”. L'intezione, ribadiscono i legali, è quella di “chiarire, una volta per tutte e per amore di verità, la reale portata di quanto accaduto, di rimarcare che la signora si è da subito assunta le sue responsabilità e di riportare la vicenda nei corretti binari, anche dialettici”.

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